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Leggi gli articoli del Dott. Alberto Magnetti nel blog "Appuntamento con l'omeopatia".

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UNA FARMACIA IN ARCHIVIO

Medicina omeopatica in Piemonte tra ottocento e novecento

Il 15 settembre 1830 Michele Buniva, tra le figure più eminenti della medicina piemontese del tempo, scriveva ad alcuni veterinari suoi collaboratori "Samuele Hahnemann tedesco dottor medico ha dato alla luce un libro intitolato l'Organo della Medicina nel quale ci propone di amministrare ai malati qualsivoglia sostanza medicamentosa, a dosi esigue...", invitandoli a condurre una sperimentazione sugli animali allo scopo di verificare la validità di tali teorie. La medicina omeopatica si stava in quegli anni diffondendo in Italia, suscitando al tempo stesso vasti consensi e feroci critiche, situazione che permane ancora oggi, a quasi duecento anni dalla sua prima formulazione. Questa mostra, dedicata alla farmacia omeopatica che in circostanze davvero insolite è entrata a far parte del patrimonio dell'Archivio Storico della Città, coglie l'occasione per esaminare le reazioni in campo scientifico e le ripercussioni in campo legislativo prodotte dalla medicina basata sulla teoria che il simile cura il simile. Argomento di grande attualità, visto che l'omeopatia è tuttora la più diffusa tra le medicine non convenzionali e che il dibattito scientifico sui suoi effetti prosegue con accanimento.

Torino, settembre 2005
Fiorenzo Alfieri Assessore alle Risorse e allo Sviluppo della Cultura

La storia della «magnifica» farmacia omeopatica, i cui arredi sono oggi conservati presso l'Archivio Storico della Città di Torino, è connessa alle alterne fortune incontrate in Italia, e specialmente in Piemonte, dall'omeopatia, fondata, sperimentata e teorizzata tra Sette e Ottocento dal medico sassone Samuel Hahnemann (Meissen, 1755 - Parigi, 1843).

Introdotta nel Regno delle Due Sicilie con il favore di Francesco I e di Ferdinando II di Borbone, i quali vollero rispettivamente fosse praticata nel 1828 nell'Ospedale militare della Trinità in Palermo e nel 1837 nella cura dell'epidemia del "morbo asiatico", l'omeopatia, negli anni trenta dell'Ottocento, approdò a Lucca e poi, da Genova, a Torino, ove fu largamente osteggiata. Alle riserve avanzate dalla medicina ufficiale subalpina che osservava che la preparazione della maggior parte dei rimedi omeopatici non era contemplata nella farmacopea, rispose nell'udienza del 14 maggio 1838 Carlo Alberto.

Nei verbali della seduta del Protomedicato del 28 maggio si comunicava infatti: "Sua Maestà ha riconosciuto la convenienza di lasciare all'azione del tempo di discreditare la pratica delle cure omeopatiche se si riconoscesse illusorio o chimerico quel metodo, ovvero di mettere in maggior evidenza quel che può contenere di reale e di utile". L'intenzione sovrana era esplicita: "per ora nulla si provveda riguardo la pratica di quel sistema tutte le volte che sarà adoperato da persone debitamente autorizzate all'esercizio della Medicina o della Chirurgia e che similmente per ora non debbano venir queste molestate per la somministranza di rimedii proprii delle cure omeopatiche". Libertà dunque, non licenza incondizionata.

Un certo scetticismo al riguardo della nuova "dottrina" tuttavia permaneva, mentre l'assenza di regole ferree generava tra medici e farmacisti non rare incomprensioni. Le istanze del Collegio degli Speziali di Torino contro la pratica invalsa della provvista e dello smercio diretto, da parte dei medici omeopatici, dei rimedi da essi stessi prescritti, approdarono al trono. Con regio biglietto del 9 febbraio 1839, agli "speziali legittimamente autorizzati ad esercitare la Farmacia nella capitale e nelle altre città e terre" venne allora permesso di tenere "spezierie di rimedi omeopatici, in sito separato dalle spezierie ordinarie" e al "farmacista collegiato" Domenico Blengini fu concesso di aprire nel capoluogo subalpino una spezieria specializzata; conseguentemente "la spedizione di medicinali omeopatici [...] per parte dei curanti" fu vietata.

Del dottor Blengini l'Archivio Storico conserva nelle Carte Buniva le pratiche relative all'ammissione all'esame da speziale sostenuto nel 1803. Sulla Guida di Torino, edita da Marzorati nel 1836, egli risultava titolare di una farmacia sita in contrada Santa Maria 3; nel 1842, pur mantenendo l'esercizio allopatico, era titolare di una farmacia omeopatica in contrada Dora Grossa, "accanto al n. 9", che nel 1845 si trasferì in contrada Santa Teresa, "accanto al n. 4". Nella Guida del 1851 essa non compariva più, mentre risultava attiva in contrada Carlo Alberto, accanto al Caffè Diley, la farmacia di Vincenzo Vernetti. Ad essa si affiancò nel 1855 quella di Carlo Cerutti, in contrada di Po "accanto al n. 33". Mentre le Guide della città registravano un incremento dei medici che praticavano l'omeopatia, salì anche il numero delle farmacie specializzate, che tra il 1862 e il 1880 ammontavano a tre.

In contrada della Provvidenza (attuale via XX Settembre), "accanto all'1", nel 1862 aprì i battenti la già ricordata farmacia omeopatica di Pietro Arnulfi, dai preziosi arredi "in legno di ciliegio, verniciato di nero" e "filettature d'oro", con severi scaffali e file serrate di cassetti, ciascuno dei quali destinato alla custodia esclusiva di una sola sostanza, onde evitare contaminazioni. Nel 1875 in contrada Carlo Alberto la ditta Schiapparelli succedette alla farmacia Vernetti, mentre nel 1876 la farmacia Arnulfi fu rilevata dall'"Instituto Omeopatico" - associazione privata di medici, farmacisti, veterinari, seguaci e simpatizzanti della "scuola medica omeopatica" -, che nel 1882 allargò il proprio raggio d'azione a livello nazionale. L'Istituto Omeopatico Italiano, come ebbe a definirsi il sodalizio "costituitosi allo scopo di sviluppare e diffondere in Italia la pratica dell'omeopatia con tutti i mezzi consentiti dalle leggi", si propose inizialmente "di aprire pubblici dispensari nelle principali città del Regno, di sostenere le spese occorrenti per la pubblicazione di un giornale e di stabilire premi annui per incoraggiare le cognizioni omeopatiche sperimentali e dimostrative".

Nel 1886 Umberto I ne decretò l'erezione in ente morale. L'anno seguente, sotto la presidenza del medico Giuseppe Bonino, l'assemblea poté deliberare l'acquisto di una casa in via Orto Botanico (attuale via Lombroso), allo scopo di insediarvi un ospedale: l'Ospedale Omeopatico Italiano. Il nosocomio, dotato nel 1890 di soli sei letti, ascesi a ventidue nel 1903, accolse in poco meno di tre lustri 473 pazienti. Nel 1929 gli fu aggregata la farmacia già Arnulfi, trasferita dalla primitiva sede e ora destinata alla preparazione esclusiva dei rimedi omeopatici necessari ai degenti. Ma l'omeopatia, soggetta sin dall'origine ad alterna fortuna, nel volgere di un breve decennio perdette gran parte dei suoi adepti.

L'ospedale fu declassato a "infermeria" e quindi a piccolo "cronicario". Sugli arredi della farmacia si posò la coltre dell'abbandono; neppure la guerra risparmiò l'Istituto, che la ricostruzione tuttavia rimise faticosamente in funzione. Nel 1972 la Farmacia omeopatica storica, ritenuta da alcuni "più bella di quella di Londra", fu chiusa al pubblico e dimenticata. Riaffiorò dall'oblio, in condizioni deplorevoli, nel 1985, allorché, con lo scioglimento dell'Istituto, si pose il problema di assegnarle un proprietario volonteroso, interessato al suo ricupero e alla sua conservazione. Venne fortunosamente, e fortunatamente, designato allo scopo l'Archivio Storico comunale, che in quegli anni era in attesa di una sistemazione annunciata. Con la realizzazione della sede dell'Archivio in via Barbaroux, la Farmacia, opportunamente ripristinata, è finalmente restituita alla collettività.

 

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